È
giusto che ci si indigni sulla sorte toccata a D’Ambrosio, consigliere del
Quirinale, stroncato prematuramente da un infarto.
Non
si può sapere se le forti pressioni che in questi giorni aveva ricevuto per le
telefonate fatte con Mancino sul rapporto Stato Mafia siano state una causa del
suo decesso. Sicuramente non era un uomo tranquillo, lui che, a quanto si
legge, non aveva fatto altro in tutti questi anni che servire lo Stato in modo
impeccabile.
I
magistrati tacciono, i politici mugugnano, il Presidente Napolitano si arrabbia
e i giornalisti fortunatamente parlano di metodi usati che devono far
riflettere.
Meno
male. Purtroppo però situazioni come questa ne sono già successe negli ultimi
20 anni tante, troppo.
L’indagine
di tangentopoli portò grandi manager, politici onesti a togliersi la vita per
la sola presunzione di colpevolezza, sventolata ai 4 venti non solo dai
magistrati, ma guarda caso anche da quei giornalisti che oggi parlano in modo
critico di ciò che è avvenuto a D’Ambrosio.
Meglio
tardi che mai. Ci si poteva pensare anche prima. Adesso bisogna convincersi che
l’Italia deve tornare ad essere un paese democratico, civile e perciò
garantista in cui l’accusato non è colpevole e nemmeno sputtanato fin quando
non è definitivamente condannato.
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