Il lavoro, insieme alla salute e alla casa, è un argomento su cui vivono da sempre molti preconcetti o falsi storici.
Come è cambiata, mutata, radicalmente trasformata la vita di ognuno di noi, così anche il lavoro e le sue modalità avrebbero dovuto essere modificate.
Invece, se ci pensiamo bene, nulla si è mosso da quel lontano Statuto dei lavoratori. Anzi a dire il vero qualcosa è stato riformato, vale a dire nel 1997 è stata introdotta la legge sul lavoro temporaneo, poi modificata nel 2004 da Biagi.
Se pensiamo bene, il precariato, che dovrebbe essere conseguenza di queste due leggi, è sotto il mirino delle parole della politica.
E’ proprio vero allora che la precarietà è il male del nostro mercato del lavoro? E’ proprio vero che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (fatto quasi 40 anni fa quando non c’erano ancora i PC…) è irriformabile?
La precarietà lavorativa è uno stato inesistente, creato dalla parziale applicazione delle leggi in vigore. Infatti se venisse attuato per intero il protocollo Biagi si potrebbe parlare solo di flessibilità.
A questo termine, ipocritamente spesso usato con accezione negativa, deve essere associato il concetto di continuità, ovvero la possibilità del lavoratore (sia esso subordinato o meno) di usufruire, durante i periodo di disoccupazione, di una formazione che gli permetta di aggiornare la propria professionalità, magari adeguandola alle nuove esigenze dei mercati. A loro andrà anche erogato un rimborso mensile proporzionato alle ore settimanali svolte nell’ultima occupazione.