mercoledì 16 febbraio 2011

NO WORK, NO PARTY

Non capita spesso di celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia; anzi se non sbaglio può capitare una e una volta sola. Perciò credo, dimmi se sbaglio caro lettore, che possa essere considerato almeno da tutti un appuntamento unico, se per qualcuno non è importante. Anche se, devo dire, l'importanza di questa ricorrenza mi sembra scontata. Il nostro Paese, che è sempre stato al centro della Storia in ogni epoca, grazie alla testardaggine di alcuni uomini, ha raggiunto la propria unità, considerandola un valore non solo politico, ma anche un vantaggio sociale, economico e perchè no, bellico (in tanti si è più forti). Così Garibaldi & C. si fecero tutta la penisola per incontrare convincere e lottare contro quelle persone che invece, per personalismi e tatticismi, preferivano un territorio frammentato e disomogeneo. Sono passati da allora 150 anni, cioè 54.750 giorni, cioè 1.314.000 ore, un paio di guerre e Tangentopoli. Insomma un po' di tempo. Naturale è che la Presidenza della Repubblica voglia degnamente festeggiare questa ricorrenza, non solo con parate, convegni, libri che servono solo a deliziare la piccola elite italiota, ma anche con una grande giornata di festa  per tutti i cittadini, che in quel giorno, come per ogni festa degna del proprio nome, non dovrebbero andare a lavorare e/o a studiare. Così che tutti lo capiscano che è per l'Italia un appuntamento importante, anche per i distratti, per quelli che non leggono i giornali, non guardano la TV (beati loro), che sono troppo piccoli d'età o di cervello per capire oppure parlano una lingua diversa. L'Italia il 17 marzo si ferma e non per uno sciopero o per un lutto, ma fortunatamente per una festa, che coinvolge tutti noi, grandi e piccini. Visto che è troppo bello, ci deve essere qualcuno che rompe le palle e rovina la festa. Iniziano i leghisti nel dire che si, insomma, loro sono secessionisti (sapessero almeno cosa significa...), che l'unità si può ricordare, ma in sordina; ci si mette il Ministro dell'Istruzione, persona simpatica, che dice che quel giorno si deve andare a scuola (forse con qualche accorgimento si potrebbe); ma i migliori sono stati gli industriali che hanno esclamato che non si poteva perdere un giorno di lavoro, in questa crisi perenne.
Passino i padani, ma una puttanata così non deve passare. Si indignino i politici, si allarmino i sindacati e innorridisca il clero (per una volta a ragion veduta), ma qualcuno dica agli imprenditori di non dire stronzate. Non riescono a capire che si tratta di un giorno, si un giorno, non una settimana o un mese, in cui i cittadini, alcuni (e non tutti fortunatamente) dei quali loro dipendenti, possono riposare, ricordando e festeggiando l'unità d'Italia, magari visitando musei risorgimentali, piazze garibaldine, reggie monumentali gratuitamente per rivivere quei momenti che per noi sono stati la base della nostra democrazia, libertà e sviluppo.
Totò direbbe: ma mi faccino il piacere!  E' davvero una grande stupidata quella la critica fatta dagli industriali alla festa del 17 marzo prossimo; spero che nei prossimi giorni se ne accorgano e ragionevolmente tornino sui loro passi.
Per convincerli posso assicurare loro che non sempre accade quello che cantava Celentano "chi non lavora, non fa l'amore" Quella sera, proprio perchè festa, le vostre mogli o i vostri mariti ve la daranno ugualmente, anche se durante il giorno non avete fatto una "minchia".

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